venerdì 2 settembre 2011

La lezione di mons. Cataldo Naro (di mons. Vincenzo Sorce)

Mons. Cataldo Naro
Arcivescovo di Monreale
    L’inaugurazione di questo anno accademico è piena di significato ed ha carattere di particolarità.
    Non è passato ancora un mese dalla scomparsa improvvisa di Mons. Cataldo Naro, Arcivescovo di Monreale.
   Vorrei, questa sera, cogliere con voi alcuni aspetti della sua lezione di vita, frutto di quarant’anni di profonda, fraterna condivisione esistenziale, umana e presbiterale.
    E permettetemi di chiamarlo ancora Aldo, per evitare che davanti a Monsignore o all’Eccellenza, anche dal cielo mi guardi affettuosamente minaccioso, mentre continua a dirmi sorridendo: smettila di scherzare…
    È entrato in Seminario dopo la licenza media, pantaloni corti, un po’ impacciato, sguardo pulito. Arriva da San Cataldo, comune del nisseno dalle profonde radici cristiane, da famiglia profondamente religiosa, di cultura contadina.
   La sua infanzia, segnata da ricordi felici di vita in campagna, con nonno Tirrito e zii, che seguiva anche nelle fiere paesane di bestiame.
  L’anno scorso, attraversando insieme il territorio della sua Arcidiocesi, al limite di Piana degli Albanesi per andare al bosco della Ficuzza, ricordava d’averlo attraversato da piccolo, proprio con nonno e zii: appunti di rapporti, di amicizie. Ricordammo insieme l’importanza che avevano, queste fiere, nella nostra cultura, e parlammo della necessità che si facessero degli studi su questo fenomeno, mentre sono ancora in vita coloro che ne furono protagonisti anche nelle nostre famiglie.
    In seminario Aldo si inserì subito nella nuova esperienza di vita, e lo studio fu l’ambito in cui si manifestò con più facilità. Certo, non fu mai membro di una squadra sportiva, ma partecipò con gioia a tutte le altre attività.
    La sua famiglia conobbe l’emigrazione: fu Aldo, seminarista, a fare il telegramma al papà, emigrato in Germania, della nascita della figlia Maria Rosaria.
    Il nostro rapporto si fece più stretto quando lui era studente di liceo, insieme a Padre Falletta, Padre Bonasera ed altri, ed io, che ero al terzo di Teologia, ne fui il Prefetto.
    Era il ’68, l’anno della contestazione. Anche i Seminari furono attraversati dal sussulto del rinnovamento Conciliare. Fu un anno intenso, di sperimentazione: educazione all’autonomia, alla responsabilità, avvio a confrontarsi con il dolore e la sofferenza degli ammalati dell’Ospedale, animazione vocazionale illuminata, formazione alla libertà matura.
    Di lì iniziò il nostro viaggio a due che sarebbe continuato per sempre, fino alla sua morte.
    Io fui ordinato nel ’70, da Mons. Monaco. Aldo, nel ’74, da Mons. Garsia.
Da sinistra: mons. Antonino Raspanti preside della Facoltà
Teologica di Sicilia, Mons. Naro, prof. sac. Giuseppe Bellia.
    Lui aveva continuato gli studi a Napoli e, dopo, alla Gregoriana, a Roma.
    Io, ordinato prete, studiai prima a Messina, poi a Roma, all’Angelicum ed a Catania, alla Statale, mentre lavoravo già in Diocesi.
    Alla gregoriana, il suo maestro per eccellenza fu Padre Martina, storico di fama internazionale. In una delle sue parentesi nissene durante la sua permanenza a Roma, ci incontrammo nei corridoi della nostra Curia. Parlammo di progetti, di tesi. Dissi ad Aldo che, frugando in Biblioteca, avevo trovato un documento interessantissimo: la lettera ai parroci di Mons. Guttadauro, secondo Vescovo di Caltanissetta, dal grande spessore spirituale, culturale e pastorale. Se ne procurò il testo, fu per lui una illuminazione, come una porta che lo introduceva nella storia della nostra Chiesa locale e del movimento cattolico. Divennero l’orizzonte dei suoi studi, delle sue ricerche, che segnarono profondamente la sua vita. Attraverso la ricerca storica, egli manifestò l’amore e la passione per la nostra Chiesa locale, un amore segnato da grande onestà intellettuale, dal rigoroso culto della verità, senza compromessi e servilismi, dal desiderio sincero, radicato nella fede, di una crescita autentica della nostra Chiesa nissena, in continuità con la sua storia di santità, di realizzazioni pastorali, culturali, sociali. Senza pressappochismi e improvvisazioni.
 
    Le sue doti naturali, la sua straordinaria memoria, la sua capacità di sintesi, il suo profondo intuito per la conoscenza della realtà, insieme alla sua capacità di studio metodico e il suo amore alla Chiesa, ne hanno fatto uno storico di razza.
    Ritornato in Diocesi, inizia l’insegnamento presso il Seminario, organizza con criteri scientifici l’archivio della Curia, s’inserisce con passione nella vita della Chiesa locale, prende in mano il rilancio delle Orsoline della Diocesi, partecipa ai lavori del Consiglio Presbiterale.
    Il cammino della Diocesi lo vede coinvolto con la conoscenza lucida dei problemi pastorali; il suo realismo lo porta a ricercare la verità della memoria e del presente.
    Ma saranno queste sue attitudini e queste competenze, assieme alla straordinaria, arrogante mediocrità di alcuni, che lo faranno soffrire.
    Ha vissuto in Diocesi il calvario delle incomprensioni, dell’emarginazione, delle persecuzioni. Un gruppo sparuto di preti e di laici fecero pressioni perché fosse addirittura sospeso a divinis, colpevole solo di essere lucido, competente, libero.
    In questo contesto si approfondì la nostra fraternità, e la condivisione divenne il nostro pane quotidiano.
    Alcuni nodi pastorali e alcuni eventi che lo videro protagonista, provocarono reazioni verso Aldo. Il Convegno Evangelizzazione e promozione umana, la riorganizzazione degli studi in Seminario, gli studi sulla questione della pietà popolare, la pubblicazione della Rivista “Argomenti”, che insieme avviammo dall’86 al ’90 per promuovere il dibattito e il confronto in Diocesi, l’avvio del Sinodo. La sua competenza, il suo rigore metodologico, suscitarono invidie, gelosie, contrarietà. Era un timido, ed, a volte, quando veniva fuori la sua intransigenza, la sua fermezza, il suo denunziare, potevano, certo, rendere problematiche certe relazioni, ma non giustificare le opposizioni continue. Soffrì tantissimo e visse autentici momenti di passione.
Avvia e promuove, nonostante tutto, le Edizioni del Seminario. Incominciano le sue pubblicazioni.        
    Inizialmente, riproponendo testi del passato, come quelli del Pulci, e poi, gradualmente, offrendo suoi studi, altri lavori, altre ricerche.
    Durante le settimane pastorali diocesane, cominciarono i suoi contributi illuminanti.
    Soffrimmo insieme ma non ci arrendemmo.
    Mons. Angelo Rizzo, vescovo di Ragusa, e il Cardinale Salvatore Pappalardo, furono punto di riferimento e presenze rassicuranti.
    Grazie alla intelligente lungimiranza del Dott. Gaetano Saporito, iniziò e si strutturò un sodalizio con la Cassa Rurale “Toniolo”, che permise la nascita e la crescita del “Centro Studi Cammarata”, di cui difese decisamente l’autonomia e non volle mescolanze con strutture clericali. Il Centro divenne laboratorio di sapere, di cultura, spazio di incontri, dibattiti, di confronto, di ricerche. Il Centro fu anche il luogo dove curava rapporti, formava giovani studiosi alla ricerca storica, ascoltava, consigliava.
    Provvidenziale e fecondo fu l’incontro con lo storico e meridionalista Pietro Borzomati che, apprezzandone il valore, stabilì con lui un rapporto di forte amicizia e collaborazione, e lo inserì nei circuiti scientifici più ampi della storiografia del Movimento Cattolico, del Meridione fecondo di santità e di creatività.
    Aldo fu presto apprezzato, richiesto. La Pontificia Università Gregoriana, con il Padre Martina, gli offrì la Cattedra di Storia della Chiesa; l’Università di Strasburgo gli chiese la sua collaborazione; amici cattedratici gli fecero pressioni perché si inserisse nel mondo universitario statale. Disse di no.
    Da una parte, era stanco delle sterili polemiche nissene e, dall’altra, non era un ambizioso, un cercatore di vanagloria. Sobrio, rigoroso, umile, nonostante alcune puntate aspre e forti. Nei tre volumi della Dissertatio ad Doctoratum, conseguita con medaglia d’oro, e guidata dal Prof. Giacomo Martina, al quale rimase sempre legato da profonda gratitudine, secondo me, c’è l’opera originale e completa di Aldo.
    Sono certo che, in futuro, ricerche, convegni, studi postumi, svilupperanno temi e filoni contenuti in questo prezioso lavoro. Ma l’originalità, per me, è tutta in quest’opera.
    L’altra sera ho preso in mano i tre volumi, provando un’intensa emozione nel leggere, nella prima pagina del primo volume: a Don Vincenzo Sorce, caro come fratello. L’Autore. San Cataldo, 23.05.1991.
A Palermo, il Cardinale Salvatore Pappalardo volle fortemente la Facoltà Teologica “San Giovanni Evangelista” delle Chiese di Sicilia. Dallo stesso porporato fummo chiamati insieme ad insegnare, con il primo gruppo di docenti, presso la nascente Facoltà. Ma contemporaneamente, appena nominati docenti alla Facoltà, a Caltanissetta, dal Vescovo Garsia, fummo nominati, Aldo, Preside dell’Istituto Teologico “Guttadauro”, ed io, Preside dell’Istituto Teologico “S. Agostino”. La nostra vita era una specie di corsa ad ostacoli. Ridemmo insieme andando avanti.
    In occasione dei frequenti viaggi comuni, si prolungavano i tempi della condivisione dei sentieri che la Provvidenza apriva nella nostra vita e attraverso il nostro sacerdozio.
    In Facoltà Aldo divenne apprezzato docente, poi vice preside di Mons. Salvatore Di Cristina, oggi Vescovo Ausiliare di Palermo ed Amministratore Apostolico di Monreale, e, per due mandati, Preside. In continuità con il lavoro dei suoi predecessori, diede le ali alla Facoltà. Ne migliorò le dinamiche organizzative e gestionali, chiarì i ruoli, si occupò anche degli aspetti e dei problemi strutturali, avvalendosi della consulenza dell’Ing. Stefano Diprima, avviò collaborazioni con Centri Accademici Statali e Pontifici, regionali, nazionali ed esteri. Aprì la Facoltà al respiro mediterraneo, al dialogo con l’Islam, con l’Ebraismo, dotò la Facoltà di una casa accogliente per i docenti, ampliò il Collegio dei docenti, spinse avanti la ricerca, l’attività editoriale, valorizzò il ruolo della Biblioteca, dilatò gli spazi, organizzò le aree dei vari Dipartimenti, trovando nel Cardinale Pappalardo il Cancelliere attento ed il mecenate affettuoso e generoso.
    Anche qui non ebbe vita facile. Ma tirò dritto, senza farsi intimidire, quasi con piglio decisionista. Il suo pensiero, la sua visione delle cose e delle persone, il suo modo di affrontare i problemi ecclesiali, pastorali, accademici, si possono trovare, oltre che nelle sue pubblicazioni, negli archivi della Curia di Caltanissetta, nei carteggi del Centro Cammarata, della Facoltà Teologica e nell’archivio della Curia di Monreale.
    In questi giorni si stanno dicendo molte cose distorte e si stanno tentando molte letture improvvisate o strumentali della sua vita, della sua attività, del suo pensiero, delle sue scelte.
    La verità di Aldo è nelle sue lettere, nei suoi appunti privati, in molte pagine che, penso, potremmo definire testamentarie.
    La sua formazione e la mia, i nostri temperamenti, i nostri interessi pastorali, erano diversi e distinti, ma complementari. La sincerità del rapporto, la profondità della nostra condivisione fraterna, la comune passione per la Chiesa, in modo particolare per nostra Chiesa locale, si composero sempre in armonia, senza escludere chiarimenti, precisazioni, critiche, confronti.
    La Provvidenza suscitò, nella Chiesa di Caltanissetta, l’Associazione “Casa Famiglia Rosetta”, Terra Promessa e, poi, L’Oasi; la Fondazione Istituto EuroMediterraneo, in continuità con la storia dell’impegno sociale, caritativo, culturale della nostra Diocesi, e, poi, la Comunità di Vita Apostolica “Santa Maria dei Poveri”, nel filone della storia della Vita Consacrata della nostra Comunità ecclesiale.
Storia della nostra Chiesa che continuava, e per questo fu naturale, per lui, riconoscerne la validità, l’importanza, l’attualità.
    Fu organicamente presente nel nostro cammino, nei momenti di festa e nei momenti di travaglio, soffrendo anche lui per l’indifferenza - per non dire delle difficoltà - create dall’interno di quella nostra stessa Chiesa. Le opere di Dio sono attraversate sempre dalla Croce.
    Un segno del legame di Aldo con la Comunità “Santa Maria dei Poveri”: per il suo 25° anniversario di sacerdozio non volle feste, rumori. Accettò di celebrarlo silenziosamente con noi, all’Eremo Don Limone.
Pensammo insieme, desiderandola intensamente, una presenza accademica universitaria cattolica a Caltanissetta, al centro della Sicilia.
    Prendemmo contatti con l’Università Cattolica di Milano, con l’Ateneo Salesiano di Roma, con la LUMSA. Tutte le risposte furono negative.
Aldo continuò le sue attività, io proseguii nell’interessarmi al progetto, fino a quando non trovai la porta aperta e potemmo, così, firmare la convenzione tra l’Associazione e la LUMSA.
    Grazie alla mediazione dell’allora Preside Prof.ssa Carmela Di Agresti ed alla disponibilità del Rettore, Prof. Giuseppe Dalla Torre, la sede della didattica decentrata di Caltanissetta è ora una realtà. Un polo di elaborazione culturale cattolica era un modo per dare concretezza, nel centro della Sicilia, al Progetto culturale della CEI orientato in senso cristiano. Una presenza vissuta nella solitudine e negli ostruzionismi di alcune Istituzioni.
    Aldo tenne il Corso di Storia alla LUMSA fino a quando non fu nominato Arcivescovo di Monreale. E per poter spingere il Consorzio Universitario nisseno ad aprirsi alla LUMSA, accettò di far parte del suo Consiglio di Direzione. Un’esperienza deludente per i metodi e per lo stile che vi riscontrò.
La comunità ecclesiale deve avere sempre più consapevolezza dell’importanza, della valenza pastorale e culturale di una istituzione cattolica a Caltanissetta, e deve fare sentire forte la sua voce. Anche alla luce di quanto il Pontefice ha detto a Verona, sulla scuola cattolica: “In concreto, perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta […] una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona […] Tra le molteplici forme di questo impegno non posso non ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi confronti sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l’attività.”
    Anche in memoria di Aldo, mi batterò per far crescere la presenza accademica cattolica a Caltanissetta.
Qui, all’Istituto Calafato, ci sono spazi sufficienti per un campus studentesco aperto ai popoli del Mediterraneo, un luogo aperto ai servizi sociali e caritativi della Città e del Territorio. Per questo nessun parcheggio può essere fatto in questo spazio che è eredità del sudore delle Suore della Carità e del volontariato cattolico nisseno. Bensì qui si potranno promuovere altri servizi, in collaborazione con le amministrazioni locali.
    Questa sera, dedichiamo tutte le attività che qui si svolgono ad Aldo, perché questo, da oggi, sarà il “Centro Polivalente per le attività Accademiche, Culturali e Sociali Mons. Cataldo Naro”.
    Ripetutamente, egli mi aveva spinto a fondare ex novo un’Università privata, e ripetutamente io gli facevo osservare che era un progetto difficile. Ma lui continuava ad incoraggiarmi. Nel rispetto dei ruoli e dei compiti, da Arcivescovo, il suo cuore rimaneva profondamente legato al nostro territorio ed alla nostra Chiesa locale, e, dunque, sempre teso a stimolarne la promozione e lo sviluppo.
    La sua attività accademica, i suoi studi, la sua lucidità di analisi, lo fecero notare a personalità laiche del mondo cattolico nonché ad alte ed autorevoli figure ecclesiastiche.
    I vertici della Conferenza Episcopale Italiana lo vollero protagonista nel Progetto Culturale orientato in senso Cristiano. Fu ispiratore di analisi, di piste di riflessione, di diversi Forum. Lo vollero nel Consiglio di amministrazione del quotidiano AVVENIRE, lo inserirono nel Comitato delle Settimane Sociali. E lui, davanti ad ogni servizio che gli era chiesto, mi diceva: ora stanno esagerando, la stima che mi dimostrano è eccessiva. Si schermiva, con quel sorriso pieno di semplicità e di ironia.
    E continuava a lavorare a ritmo intenso, senza risparmiarsi: Centro Studi, Facoltà, incarichi CEI, Convegni, sfuggendo alle proposte di vacanze, a prendersi un po’ di spazio per sé. Tagliava corto, sorrideva e continuava, non dava ascolto a nessuno.
    Anche alcuni ecclesiastici delle Congregazioni Vaticane cominciarono a fargli proposte per averlo a Roma, per alti incarichi. Non si lasciò lusingare. Eminenti personalità lo pensarono giovanissimo vescovo. E subito si levarono ostruzionismi, difficoltà strumentali. Anche lui, accortosi, di tali progetti, non solo non fece nulla per caldeggiarli, ma tentò di dissuadere i proponenti. Una vicenda che viaggiò per molto tempo tra alti e bassi, ancora una vicenda che volle condividere con me passo passo, confidandomi paure, ansie, desiderio d’abbandono alla volontà di Dio.
    Quando l’iter arrivò a compimento, tentò ancora una volta di far retrocedere i Superiori di Roma, che non l’ascoltarono. Chinò il capo in un atto di fede.
    La sua era una fede profonda, maturata soprattutto nella sofferenza interiore e morale, ma era anche una fede essenziale, dinamica. Che gli faceva scorgere nella ricerca e nella adesione alla volontà di Dio, l’essenza dell’esperienza cristiana e che diventava criterio di lettura della vita della Chiesa e della società.
Una fede che si alimentò della Parola di Dio, della storia della Chiesa e di una profonda spiritualità. Una fede che si tradusse in tensione silenziosa a vivere l’avventura della santità incarnata nella storia, alla scuola dei santi di ieri e di oggi. Pur restando saldamente ancorato alla Chiesa locale, sotto la guida del toscano Don Divo Barsotti, uno dei più grandi mistici del nostro tempo, visse la spiritualità della “Famiglia dei Figli di Dio” come ulteriore strumento e possibilità per vivere la santità presbiterale.
    E la santità, vissuta come progetto essenziale dell’essere cristiano, fu il filo conduttore dei suoi studi e della sua attività: la santità nelle sue dimensioni sociale, storica, artistica; nelle sue realizzazioni popolari; la santità come manifestazione della presenza del Cristo Risorto nelle nostre strade.
    I santi, elementi di fecondazione umana, di fede creativa, di realizzazioni sociali e caritative, e, per questo, spinse le Chiese locali a mettere sul candelabro i propri figli, testimoni di santità: Mariannina Roxas, P. Angelico Lipani, Mons. Intreccialagli, P. Gioacchino La Lomia, il Cusmano, P. Nunzio Russo, Madre Carmela Prestigiacomo, Pina Suriano. La santità come impegno di riscatto sociale, come antidoto alla violenza, come energie di sviluppo del territorio.
    Fede, ragione, intelligenza, capacità di sintesi, profondità di analisi, ampiezza di orizzonti, fecero di lui un uomo di fede e di cultura senza sbavature e protagonismi. Volle servire la Chiesa e la società italiana con autenticità, nella testimonianza e con rigore scientifico, senza servilismi e carrierismi, senza ammiccamenti e narcisismi. Severo, austero, asciutto, coerente, a volte, persino duro.
    La sera prima che fosse ufficializzata la nomina, mi invitò con un pretesto a passare dal Centro Studi Cammarata. Mi comunicò la nomina avvenuta… in un momento di intensa commozione gli chiesi di benedirmi da Vescovo e lui, inginocchiatosi, mi impose di benedirlo da fratello più grande.
    Superato questo momento forte, mi disse subito:  e ora porterai Casa Rosetta e Santa Maria dei Poveri nella mia Diocesi.
    Gli regalammo il Pastorale, andammo insieme dall’orafo, a Roma, e volle che vi fosse inciso il logo dell’Associazione.
    Cominciò l’ultimo breve e straordinario tempo della sua vita.
    L’episcopato dilatò la sua dimensione umana e spirituale: esplose in lui, più forte, il senso dell’amicizia, della fraternità e della paternità. Si addolcì ulteriormente nei tratto e nei gesti.
    Coniugò il verbo amare in tutte le direzioni possibili nella complessa realtà della Chiesa di Monreale. Se ne innamorò pienamente, totalmente. Alla sua genialità e ricchezza di preparazione non sfuggì la complessità della sua Chiesa, la dimensione pastorale di Aldo si espresse in tutta la sua creatività e passione. Alla CEI divenne punto di riferimento. Fu chiamato a presentare all’intera Conferenza Episcopale Italiana il documento: “Il volto Missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia”. Stupì ed incantò per la profondità della dottrina, per il realismo pastorale, per l’equilibrio dell’impostazione, per la semplicità e la chiarezza del linguaggio. Cardinali e Vescovi si lamentarono con il Cardinale De Giorgi, perché così a lungo fosse stato tenuto nascosto il talento di Mons. Naro. E nell’elezione alla presidenza delle Commissioni, i Vescovi italiani lo elessero contemporaneamente Presidente di due Commissioni, in contrasto con il loro regolamento. Del Convegno di Verona fu ideatore, organizzatore. Protagonista da vivo e da morto.
    È stato ricordato all’apertura dei Lavori dal Cardinale Tettamanzi. Quando all’arrivo del Papa, durante il saluto, ricordarono Mons. Naro, gli occhi di Benedetto XVI si sono velati di commozione. Alla conclusione del Convegno, così si è espresso il Cardinale Camillo Ruini:
    “Vorrei ricordare con voi un nostro fratello, l’Arcivescovo di Monreale Mons. Cataldo Naro, che abbiamo molto amato ed ammirato e che ha collaborato con straordinaria partecipazione, intelligenza ed apertura di cuore, in qualità di Vice Presidente del Comitato preparatorio, all’ideazione ed alla progressiva realizzazione del Convegno. Per molti di noi egli è stato un amico personale, per tutti, un esempio e un testimone d’amore alla Chiesa e di una cultura compenetrata dal Vangelo. Lo sentiamo vivo e presente in mezzo a noi, nel mistero del Dio che si è fatto nostro fratello, per il quale Mons. Naro ha speso la vita.”
    Sposato alla Chiesa di Monreale, il Vescovo Naro non si fermò più.
    Avviò la visita pastorale, percorse strade, attraversò paesi, campagne, città, incontrò tutti. Con lui tutti potevano avere uno spazio. Rifiutò comodità, privilegi, visse nell’assoluta frugalità, abitò un appartamento semplice, modesto, persino angusto. E quando, sentendolo al telefono oppure incontrandolo, gli dicevo che la sua voce era stanca, che stava esagerando, che doveva concedersi qualche sosta, puntualmente mi rispondeva: Vincenzo, morirò giovane e voglio spendermi tutto, tutto per questa mia Chiesa.
    Aldo non era un Vescovo ammalato. Era un Vescovo donato. Non è morto di malattia. È morto di carità pastorale, di amore per la Chiesa di Monreale.
    La croce che portava sul petto gli si era conficcata nella carne, nella vita. Il suo fu un amore crocifisso.
    Non tutti l’accolsero, alcuni lo osteggiarono, pochi, per la verità. Non si arrese. A tutti lasciò aperta la porta del suo cuore. Amò tutti i suoi preti, i suoi seminaristi, il suo popolo.
    Gli si era conficcata dentro, profondamente, una spina che lo ferì e lo fece sanguinare. Rispose con gesti di amore, di vera fraternità episcopale. Entrò in questo calvario nella consapevolezza che il discepolo non è più del Maestro. Non si chiuse e non si ripiegò su se stesso. Con chi si fidava, cercò condivisione, amicizia, anche aiuto e conforto. Ma non cercò vie di fuga, né accettò prestigiose alternative.
    Una sera mi disse a Partinico: Monreale è la Chiesa che Dio mi ha affidato. Qui c’è una storia straordinaria di santità e bellezza. La Chiesa di Monreale è il mio posto. Io l’amo e per essa voglio dare la mia vita senza riserve.
    Ci incontrammo l’ultima volta a Corleone. Prima che io partissi per la Tanzania. Mi invitò ad andare con lui perché veniva presentato il libro di Bernardo, diacono della Comunità “Santa Maria dei Poveri”, su Bernardo da Corleone, e Aldo riceveva la cittadinanza onoraria conferitagli dall’Amministrazione Comunale.
    Aveva scelto Corleone come città strategica per il suo impegno di riscatto del territorio della sua Diocesi, nella lotta contro la mafia, con l’antidoto della santità.
    Ci salutammo e mi disse: al tuo ritorno faremo tre cose: scriverò per te sul carisma di “Santa Maria dei Poveri”. Dio ti ha chiamato per guidare questa avventura di santità. Ti accompagnerò e ti sosterrò sempre perché questo carisma sia diffuso. Inaugureremo la villa di Ficuzza, residenza estiva dell’Arcivescovo di Monreale, che ti ho dato in comodato per farne un Centro di formazione e di spiritualità per la Comunità, ora presente anche nella mia Diocesi, e poi, andremo dal Presidente della Regione,  On.le Cuffaro, perché nella struttura che ti ho affidato a Partinico, si realizzi la proposta che mi hai fatto di avviare un Centro di riabilitazione per i bambini del Mediterraneo traumatizzati dalle guerre. Voglio che questo progetto si realizzi. - Questo mi disse – Abbiamo l’aeroporto nella mia Diocesi e ci collegheremo con i luoghi di guerra per costruire solidarietà e pace.
    Ora abbiamo Suore che parlano l’arabo, pronte a venire, e l’elenco di più di sessanta bambini inviatoci dalle nunziature, che aspettano di essere aiutati.
    Questo desiderio di Aldo lo affidiamo all’Assessore regionale alla Sanità, Prof. La Galla, ed al Presidente Cuffaro.
    Ho sentito l’ultima volta la sua voce in Tanzania, dove mi telefonò per dirmi che devolveva un’offerta ricevuta al progetto africano per i bambini orfani e sieropositivi. La sua voce era stanca, affaticata. Appena rientri, chiamami. disse.
    La Comunità che sorge a Tanga si chiama “Casa delle Speranze Cataldo Naro, Arcivescovo di Monreale.”
    Non pensavo, al ritorno dall’Africa, di rivedere Aldo nella bara, con accanto il Pastorale che gli avevamo regalato. Aldo, vescovo sinceramente amico, carissimo come fratello, testimone affascinante di verità.
    Ora, con il Vescovo del Cielo, con il Pastore Bello delle pecore, si prenderà sempre cura di me, di voi, di noi.
    La Chiesa di Caltansisetta che lo ha generato alla fede ed al sacerdozio, lo piange da madre; la Chiesa di Monreale che lo ha avuto Vescovo, padre e pastore, lo piange da figlia e da sposa.
    L’una e l’altra lo hanno fatto crescere nella sapienza del cuore e gli hanno fatto sperimentare la sapienza della croce.
    Insieme, teniamone viva la memoria, nella comunione e nella collaborazione, valorizziamone il grande patrimonio. Fra Caltanissetta e Monreale, continui il rapporto di santità e di fraternità attraverso Mons. Intreccialagli e Mons. Naro, due straordinari anelli di congiunzione. Camminiamo insieme. Aldo, angelo delle nostre Chiese, ci precederà e ci accompagnerà.

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